COMPENSAZIONE DELLE SPESE DEL GIUDIZIO: QUALI SONO LE GRAVI ED ECCEZIONALI RAGIONI?

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Declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. Sentenza Corte Costituzionale num. 77/2018. 

Ampliamento del potere discrezionale del Giudice in ordine alla

compensazione delle spese di lite.

 

La regolamentazione delle spese processuali nel giudizio civile risponde alla regola generale “victus victori fissata dall’art. 91, comma 1, cod. proc. civ. nella parte in cui prevede che “il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa“.

 

In altri termini, appare giustificato che l’alea del processo debba gravare sulla parte totalmente soccombente secondo una più stretta regola generale, limitando alla ricorrenza di «gravi e eccezionali ragioni» la facoltà per il giudice di compensare le spese di lite.

Questo raggiunto equilibrio è stato alterato dalla recente modifica dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. disposta dall’art. 13, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, convertito nella legge n. 162 del 2014, che ha ulteriormente ristretto il perimetro della deroga alla regola generale in base alla quale le spese di lite debbano gravare sulla parte totalmente soccombente.

 

La formulazione generica delle «gravi ed eccezionali ragioni» è stata sostituita dalla introduzione di due ipotesi tassative, ossia “l’assoluta novità della questione trattata ed il “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti“, le quali si aggiungono all’ipotesi della “soccombenza reciproca”, rimasta invariata nel tempo.


Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che con sentenza n. 77/2018 ha affermato che “la rigidità di queste due sole ipotesi tassative, violando il principio di ragionevolezza e di eguaglianza, ha lasciato fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa. La prevista ipotesi del mutamento della giurisprudenza su una questione dirimente è connotata dal fatto che, in sostanza, risulta modificato, in corso di causa, il quadro di riferimento della controversia”.

Nella specie, “Il fondamento sotteso a siffatta ipotesi – che, ove anche non prevista espressamente, avrebbe potuto ricavarsi per sussunzione dalla clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» sta appunto nel sopravvenuto mutamento del quadro di riferimento della causa che altera i termini della lite senza che ciò sia ascrivibile alla condotta processuale delle parti. Ma tale ratio può rinvenirsi anche in altre analoghe fattispecie di sopravvenuto mutamento dei termini della controversia senza che nulla possa addebitarsi alle parti: tra le più evidenti, una norma di interpretazione autentica o più in generale uno ius superveniens, soprattutto se nella forma di norma con efficacia retroattiva; o una pronuncia di questa Corte, in particolare se di illegittimità costituzionale; o una decisione di una Corte europea; o una nuova regolamentazione nel diritto dell’Unione europea; o altre analoghe sopravvenienze. Le quali tutte, ove concernenti una “questione dirimente” al fine della decisione della controversia, sono connotate da pari “gravità” ed “eccezionalità”, ma non sono iscrivibili in un rigido catalogo di ipotesi nominate: necessariamente debbono essere rimesse alla prudente valutazione del giudice della controversia”.

Un siffatto principio, come chiarito nella predetta sentenza,  può applicarsi anche all’altra ipotesi prevista dalla disposizione censurata – l’assoluta novità della questione – che è riconducibile, più in generale, ad una situazione di oggettiva e marcata incertezza, non orientata dalla giurisprudenza.

In simmetria è possibile ipotizzare altre analoghe situazioni di assoluta incertezza, in diritto o in fatto, della lite, parimenti sussumibili nella categoria concettuale delle «gravi ed eccezionali ragioni».


Del resto la stessa ipotesi della soccombenza reciproca, che, concorrendo con quelle espressamente nominate dalla disposizione censurata, parimenti facoltizza il giudice della controversia a compensare le spese di lite, rappresenta un criterio che implica una qualche discrezionalità del giudice.

 

Ne consegue che il Giudice è chiamato ad apprezzare la misura in cui ciascuna parte è al contempo vittoriosa e soccombente, tanto più che la giurisprudenza di legittimità si va orientando nel ritenere integrata l’ipotesi di soccombenza reciproca anche in caso di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta (Corte di Cassazione, Sezione terza civile, sentenza 22 febbraio 2016, n. 3438). 

Tale principio è stato ribadito dal Tribunale Civile di Catania che con sentenza n. 1908/2020, facendo propria l’interpretazione della recentissima pronuncia della Corte di Cassazione n. 7961/2020, ha rigettato l’appello e dichiarato irripetibili le spese, giacchè nel caso di specie la pronuncia di primo grado aveva, da un lato, parzialmente accolto la domanda attorea e, dall’altro, parzialmente accolto l’eccezione di controparte.