AVVOCATO. ACCORDO SUI COMPENSI. OBBLIGATORIETA’ DELL’ACCORDO SCRITTO. L’INVIO DI UNA MAIL SEGUITA DALLA MERA PROSECUZIONE DELL’INCARICO NON EQUIVALE AD ACCORDO SUL COMPENSO.

post date29 de enero de 2025  •   post categoriesArticoli, News, Sentenze

25119725s Ai sensi dell’Art. 13 comma 2° della Legge 31 Dicembre 2012 num. 247 rubricata “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” “2. Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale”. E’ di tutta evidenza che la norma abbia riguardo ad un CONTRATTO di conferimento di incarico professionale, nei termini e confini prescritti dall’art. 2233 Codice civile, cosicchè una semplice email, priva di sottoscrizione, diretta ad UNO SOLO DEI SOGGETTI CONFERENTI L’INCARICO ed in totale ASSENZA di alcun segno di accettazione da parte dei medesimi non potrà valere quale accordo atto a sottrarre il cliente dal dovere di corrispondere quanto previsto dalle tariffe forensi vigenti, in ossequio al D.M. 55/2014. In poche parole, una mail non seguita da espressa accettazione scritta non è un contratto. Essa è del tutto priva degli elementi essenziali, sì come richiesti dall’art. 1326 Cod. Civ., perchè possa validamente parlarsi del sorgere tra le parti di un contratto di conferimento di incarico e pattuizione del compenso. Nè potrà sostenersi che un’ipotetica proposta contenuta in una mail possa essere successivamente integrata mercè un’altrettanto ipotetica “accettazione” insita nella procura alle liti conferita per l’introduzione del giudizio. La procura alle liti svolge esclusivamente la funzione processuale conferitagli dall’art. 83 c.p.c. senza che ad essa possa attribuirsi valore negoziale di accettazione di una (invero solo ipotetica) proposta contrattuale.  In ogni caso il meccanismo invio di una mail contenente un progetto di parcella/conferimento della procura speciale alle liti non potrà in egual modo ritenersi fonte di accordo valido ed efficace inter partes per difetto assoluto di forma scritta richiesta dalla legge “ad substantiam” e non solamente “ad probationem”. Il comma 3° dell’art. 2233 Cod. Civ., rubricato “Compenso” dispone espressamente che: “Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”.   Nella fattispecie manca alcuna scrittura privata di pattuizione dei compensi munita di sottoscrizione autografa delle parti contraenti di talchè ogni affermazione contraria non potrà trovare cittadinanza nel nostro ordinamento. Cass. 5 Marzo /8 Settembre 2021 num. 24213 ha ribadito che: “Ex art. 2233 c.c., comma 3, il patto di determinazione del compenso deve essere redatto in forma scritta, sotto pena di nullità. Si osserva che la norma non può ritenersi implicitamente abrogata dalla L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 2: tale norma stabilisce che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto. Infatti, secondo l’interpretazione preferibile, la novità legislativa ha lasciato impregiudicata la prescrizione contenuta nell’art. 2233 c.c., comma 3. In base a questa interpretazione, la norma sopravvenuta non si riferisce alla forma del patto, ma al momento in cui stipularlo: essa, cioè, stabilisce che il patto deve essere stipulato all’atto del conferimento dell’incarico (cfr. Cass. n. 11597 del 2015). Si osserva che se il legislatore avesse realmente voluto far venir meno il requisito della forma scritta per simili pattuizioni, è ragionevole ritenere che avrebbe provveduto ad abrogare esplicitamente la previsione contenuta nell’art. 2233 c.c., comma 3, il quale commina espressamente la sanzione della nullità per quei patti che siano privi del requisito formale ivi prescritto. Chiarito che il requisito formale è prescritto a pena di nullità, valgono le regole generali:

  1. a) la scrittura non può essere sostituita da mezzi probatori diversi (Cass. n. 1452 del 2019), neanche dalla confessione (Cass. n. 4431 del 2017), né è applicabile il principio di non contestazione (Cass. n. 25999 del 2018);
  2. b) ai sensi dell’art. 2725 c.c., la prova testimoniale è ammissibile nella sola ipotesi dell’art. 2724 c.c., n. 3, di perdita incolpevole del documento (Cass. n. 13459 del 2006; Cass. n. 13587 del 2016);
  3. c) l’inammissibilità della prova, diversamente da quanto avviene quando il contratto deve essere provato per iscritto (Cass., S.U., n. 16723 del 2000), è rilevabile d’ufficio e può essere eccepita per la prima volta anche in cassazione (Cass. n. 1352 del 1969; Cass. n. 281 del 1970)”. Infine, la scrittura privata richiesta ad substantiam tra cliente e professionista per la determinazione dei compensi non può essere sostituita da mezzi probatori diversi (Cass. n. 1452 del 2019), neanche dalla confessione (Cass. n. 4431 del 2017), né è applicabile il principio di non contestazione (Cass. n. 25999 del 2018).  AI sensi dell’art. 2725 c.c., la prova testimoniale è ammissibile nella sola ipotesi dell’art. 2724 c.c., n. 3, di perdita incolpevole del documento (Cass. n. 13459 del 2006; Cass. n. 13587 del 2016). L’inammissibilità della prova, diversamente da quanto avviene quando il contratto deve essere provato per iscritto (Cass., S.U., n. 16723 del 2000), è rilevabile d’ufficio e può essere eccepita per la prima volta anche in Cassazione (Cass. n. 1352 del 1969; Cass. n. 281 del 1970).